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giovedì 22 settembre 2011

LE FRATTURE DELL’ESTREMO PROSSIMALE DELL’OMERO E LORO CLASSIFICAZIONE.



Le fratture dell'estremo prossimale dell'omero rappresentano circa il 5% di tutte le fratture occupando il V posto in ordine di frequenza. Più colpito è il sesso femminile (69%) soprattutto dopo il 50° anno di vita.  Nel corso degli anni sono state proposte numerose metodiche per il trattamento di queste fratture, generando una gran quantità di controversie e talvolta confusione. Fortunatamente, la maggior parte delle fratture dell'omero prossimale è minimamente scomposta (80-85%) e può essere trattata conservativamente e con esercizi di mobilizzazione precoce nell'arco di movimento. Le controversie sorgono quando le fratture sono notevolmente scomposte (15-20%); la frattura viene considerata scomposta per spostamenti dei frammenti superiori ad 1 cm o angolazioni degli stessi maggiori di 45°. Per attuare un trattamento adeguato delle fratture scomposte, è essenziale una precisa valutazione del quadro anatomo-patologico con un approfondito esame radiologico iniziale anche al fine di classificare il tipo di lesione.
Classificazione:
Nel 1896 Kocher, per primo, elaborò una classificazione delle fratture dell'omero prossimale in base al livello lesionale: collo anatomico, regione epifisaria e collo chirurgico. Successivamente Watson-Jones identificò due tipi di fratture, da abduzione (fratture che si verificano con braccio aperto a più di 45°) o da adduzione (fratture che si verificano con braccio aperto a meno di 45°), in base al meccanismo di lesione. Fu però Codman, nel 1934, ad apportare il contributo più significativo per la comprensione di queste fratture proponendo di separarle in quattro distinti frammenti principali, delimitati grossolanamente dalle linee anatomiche di unione epifisaria. Sulla base di queste linee egli differenziava quattro segmenti principali: testa, trochite, trochine e diafisi.
Questo criterio è stato ripreso da Neer nel 1970 nella sua classificazione in quattro parti. Il sistema proposto da Neer, basato sull'accurata identificazione dei quattro frammenti principali e dei loro rapporti reciproci, è oggi quello più comunemente utilizzato. Neer ha anche enfatizzato il termine frattura-lussazione e l'accurata diagnosi di questo problema: una frattura-lussazione è presente quando la testa non è semplicemente ruotata, ma è fuoriuscita dallo spazio articolare e vi è associata una frattura. Le fratture-lussazioni possono essere classificate in base alla direzione, anteriore o posteriore, oppure in base al numero dei frammenti (bi-, tri- o quadripartite). Le fratture per fissurazione della testa e le fratture a stampo della superficie articolare rappresentano lesioni particolari. Le fratture a stampo vengono classificate in base alla percentuale di superficie interessata: meno del 20%, tra il 20 e il 45% e più del 45% della porzione articolare della testa. Le fratture in cui la superficie articolare è frantumata in numerosi frammenti vengono definite fratture da scoppio.

Le fratture dell'epifisi prossimale della testa dell'omero si possono distinguere, a seconda del numero di frammenti che si distaccano dalla superficie della testa, in:
fratture a 2 parti. Sono fratture che interessano il collo anatomico o chirurgico dell'omero, con la formazione di un’epifisi e di una diafisi. Questo significa che l'epifisi rimane perfettamente vascolarizzata. Il trattamento è quello di ridurre e stabilizzare la frattura e, solitamente, non si hanno conseguenze di tipo biologico secondario.
fratture a 3 partI.
fratture a 4 parti. Sono fratture in cui si ha un distacco completo dalla testa omerale della grande tuberosità, della piccola tuberosità e dell'epifisi dalla diafisi. (Inciso anatomico: la grossa e la piccola tuberosità sono due sporgenze ossee divise dalla doccia bicipitale, in cui viaggia il m. bicipite. La tuberosità supero-posteriore si chiama trochite o grande tuberosità; la tuberosità infero-anteriore si chiama trochine o piccola tuberosità. Sul trochite si inseriscono il m. sovra spinoso, il m. sotto spinoso e il m. piccolo rotondo, cioè i m. superiori e posteriori della spalla. Sul trochine si inserisce il m. sotto scapolare, che è un muscolo anteriore).
In questo tipo di frattura, rimane una superficie articolare, rivestita da cartilagine, senza connessioni vascolari con i tessuti circostanti: vi è quindi un’alta possibilità che evolva verso la necrosi asettica, il deficit vascolare porta l'osso a morte. (Vascolarizzazione epifisaria: la superficie articolare è vascolarizzata da rami che provengono dalle arterie circonflesse omerali che penetrano nella piccola e grande tuberosità per raggiungere l'epifisi. Se si staccano solo la piccola e la grande tuberosità, vi è ancora una possibilità di nutrimento da parte delle arterie circonflesse; se si stacca anche l’epifisi dalla diafisi, non c'è più possibilità di connessione). In questo caso, l'indirizzo terapeutico è la sostituzione protesica.

Trattamento:
Le fratture composte vengono trattate conservativamente con bendaggio secondo Desault per 2-3 settimane dopo le quali sarà necessaria una mobilizzazione progressiva con Fkt. Le fratture scomposte vanno dapprima ridotte. Questo può essere ottenuto mediante gesso pendente, vale a dire un apparecchio gessato a gomitiera, pertanto distale alla frattura, che sfrutta il peso stesso del gesso per ottenere una riduzione progressiva; tale dispositivo è utilizzabile solo in pazienti che possono stare seduti o meglio in piedi così da sfruttare il peso dell’apparecchio gessato, non certo nei politraumatizzati allettati. Lo stesso risultato può essere ottenuto mediante trazione olecranica transcheletrica ad arto superiore allo zenit per scaricare l’effetto del grande pettorale. Ottenuta la riduzione si deve procedere ad immobilizzazione con apparecchio toraco-brachiale. Talvolta il gesso pendente può fungere anche da trattamento definitivo. Nel politraumatizzato, per l’impossibilità di eseguire un apparecchio gessato toraco-brachiale si dovrà preferire la contenzione chirurgica. Il trattamento chirurgico è indicato nelle fratture non riducibili e in cui è necessaria una buona ricostruzione articolare. Si può eseguire con fili di Kirschner, viti isolate da spongiosa, placche speciali modellate e nelle fratture della testa complesse on sostituzione protesica. Le fratture del collo chirurgico possono essere trattate anche con chiodi di Rush sottili ad impianto in corrispondenza del trochite, con cui si ottengono risultati molto buoni con tecnica molto poco cruenta o raramente con fissatori esterni di dimensioni adeguate con due viti da osso convergenti nella testa e due diafisarie.

Fratture diafisarie
Le fratture diafisarie dell’omero, dal collo chirurgico a circa 4 dita prossimalmente al gomito, sono molto frequenti e sempre caratterizzate da un certo grado di scomposizione legato all’azione dei vari gruppi muscolari inseriti all’osso. Importante è ricordare il decorso del nervo radiale nella doccia di torsione dell’omero: la posizione così aderente all’osso giustifica la frequenza di deficit dell’estensione della mano per paralisi dei muscoli epicondiloidei dovuta più spesso a trazione(neuroaprasssia) più raramente discontinuazione (assono-neurotmesi), nelle fratture (qualora si dovesse verificare la paralisi, va trattata con applicazione di uno split dinamico). Purtroppo talvolta la lesione nervosa può essere l’esito iatrogeno del trattamento cruento. Il trattamento conservativo classico prevede la trazione transolecranica  e a riduzione ottenuta la contenzione con apparecchio toraco-brachiale. Raramente, in fratture composte o ingranate, si può utilizzare il bendaggio secondo Desault. Un’alternativa può essere rappresentata dal gesso funzionale o dagli analoghi apparecchi ortopedici in commercio. Il trattamento chirurgico è il trattamento di scelta di tali fratture. L’intervento può consistere nella sintesi con placche e viti, soprattutto nelle fratture a più frammenti molto scomposte, senza appoggio: la via d’accesso è laterale facendo attenzione al nervo radiale, che anzi è preferibile isolare. Nelle fratture con buon appoggio del terzo medio della diafisi si possono utilizzare con successo e con scarso impegno chirurgico gli infibuli quali i chiodi di Rush ad impianto prossimale o quelli di Ender ad impianto distale. In alcuni casi, quali le fratture ampiamente esposte e da arma da fuoco o alcune fratture a più frammenti con lesioni vascolari dell’arteria omerale o in alcune fratture molto estese e complesse della diafisi si può utilizzare il fissatore esterno.

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